città con fiume

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olio - Paolo Parma

giovedì 26 novembre 2009

Un paesaggio virgiliano in Frontiera di Vittorio Sereni

Ecco le voci cadono e gli amici
sono così distanti
che un grido è meno
che un murmure a chiamarli.
Ma sugli anni ritorna
il tuo sorriso limpido e funesto
simile al lago
che rapisce uomini e barche
ma colora le nostre mattine.

Vittorio Sereni


Alla fine della IX ecloga delle Bucoliche, quando dopo la sentenza “Omnia fert aetas, animum quoque” del v. 51, resa da Canali (BUR 1978, certo una data che impedisce che la traduzione possa aver pesato per Sereni) con “Il tempo rapisce tutto, anche la memoria” si apre uno scenario di silenzio, “Et nunc omne tibi stratum silet aequor, et omnes, / adspice, ventosi ceciderunt murmuris aurae” (vv. 57-58). Riconosciamo alcune sonorità e strutture dei primi versi di Ecco le voci cadono di Vittorio Sereni, in chiusa di Frontiera, 1941: “Ecco le voci cadono e gli amici / sono così distanti / che un grido è meno /che un murmure a chiamarli.” “Et nunc” allittera (molto più favorevole, in questo caso, una scansione scolastica del verso che ponga un accento intensivo sulla prima sillaba) in incipit con “Ecco”, “silet” e “ceciderunt” contribuiscono insieme a “le voci cadono”, “aequor”, che non è mare né lago in Virgilio, può ricordare il lago del testo di Sereni, e da “murmuris” si arriva, anche se con possibili mediazioni pascoliane o montaliane, al latinismo di “murmure”. Cioè dal dialogo malinconico e stupito di Lìcida e Meri sui campi espropriati, sull’assenza di Menalca, sul trascorrere del tempo, alle voci perdute di un convito di amici, “una delle pallide immagini che della morte ci facciamo” (Discorso di Capo d’Anno, “Campo di Marte”, gennaio 1939). Lo svanito mormorio del vento è tutto portato all’umano e alluso nel sommesso “murmure”, termine di confronto del debole grido che chiama gli amici scomparsi. Il “sorriso limpido e funesto” dei versi successivi è forse il “sorriso lombardo, con la sua oscura e remotissima origine” dell’amica poetessa Piera Badoni, ispiratrice di molti testi del libro (lettera a Giancarlo Vigorelli del 6 marzo 1941). Una scena che prepara quella (pure, per alcuni aspetti, “virgiliana”), di Niccolò, nell’ultimo libro di Sereni.

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