Noi siàn le triste penne isbigotite,
le cesoiuzze e ‘l coltellin dolente,
ch’avemo scritte dolorosamente
quelle parole che vo’ avete udite.
Or vi diciàn perché noi siàn partite
e siàn venute a voi qui di presente:
la man che ci movea dice che sente
cose dubbiose nel core apparite;
le quali hanno destrutto sì costui
ed hannol posto sì presso a la morte,
ch’altro non v’è rimaso che sospiri.
Or vi preghiàn quanto possiàn più forte
che non sdegniate di tenerci noi,
tanto ch’un poco di pietà vi miri.
Guido Cavalcanti
a Guido Cavalcanti
siamo lo schermo, il corpo, questa luce
che dolorosamente taglia la scrittura
siamo il triste alfabeto che scolora.
Vattene dico alla parola, cosa dubbiosa lasciami
cancella subito me stessa
fai che un'altra ti prenda e ti raccolga
che mi sgombri dal tempo
e faccia nulla della mia persona
- la privi come vuole di lamento -
le scavi un vuoto
aperto solo al vento.
Antonella Anedda
dai Cori apparsi su “Altroverso” n° 2, giugno 2005; poi con alcune varianti e la titolazione Coro e la dedica a R. in Dal balcone del corpo, Mondadori 2007.
Nel libro, al di là di qualche intervento di superficie sul ritmo (il lungo verso 4 diviso in due e gli ultimi due versi brevi assemblati) o sulla punteggiatura (comparso un punto al v.2, scomparsa la virgola del verso lungo poi diviso, scomparsi i trattini), cadono i termini "dolorosamente" e "triste" rendendo meno evidente la natura di rifacimento cavalcantiano di questa splendida poesia, cosa visibile ora solo in "taglia" (eco delle cesoiuzze e del coltellin), "scrittura", "parola" personificata (così come noi siamo alfabeto) e soprattutto "cosa dubbiosa". Forse troppo evidente la matrice-Cavalcanti, ma togliere i due termini, per quanto non del tutto necessari sul piano semantico (il taglio è certo doloroso, l'alfabeto che scolora è certo triste), muta radicalmente il ritmo dei versi (tredecasillabo scomponibile in 7 + 6, dove si snodava e rilevava "dolorosamente" > classico settenario; endecasillabo con due sinalefi e il pathos ridondante di "triste" > decasillabo, per fortuna non manzoniano), e il ritmo non è solo un fatto formale. Mi pare che, rinunciando ad una tonalità patetica accentuata ed esibita, si tenda ad una maggior secchezza di enunciato, che tiene tutto implicito: in questo senso anche il lavoro sulla punteggiatura assume rilevanza. Al di là di queste considerazioni il giudizio sarebbe del tutto soggettivo (o meglio avrebbe ragioni più profonde o sottili che qui non serve approfondire), ed è in entrambi i casi una bellissima poesia. Il libro andrebbe letto e capito meglio di quanto finora sia stato fatto, ad esempio chiedendosi il perché dei "Cori" che si intercalano agli altri testi.
sabato 7 novembre 2009
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