"Tre
i movimenti dialettici, come tesi, antitesi, sintesi. La santità,
intesa come purezza di gesti e parole, è la condizione della poesia,
che ne deriva con naturalezza, come un parto, dall'interno verso
l'esterno. Al contrario, lo smarrimento nei propri labirinti
interiori e l'interna frammentazione in tanti 'io' incompleti e
labili è una colpa, introspezione paradossale che non porta alla
conoscenza ma alla dissipazione di sé. Ma la calma di gesti e di
sguardi riporta sulla strada perduta, verso la fecondità del vivere
e l'unità dell'io. Rileviamo alcuni aspetti cruciali, nei contenuti
e nelle forme. La metafora del grembo
caldo del
gesto (grembo da cui il gesto deriva e, insieme, che il gesto è)
introduce l'idea di maternità (ribadita al penultimo verso da
“fecondo”) e, indirettamente, di sessualità, non a contraddire
ma a complicare il concetto delle dichiarate santità e sobrietà, e
forse primo embrione della futura identificazione dell'io (sempre
parziale, perché coesistente con altre) con la figura di Maria,
vergine e madre. Il nascere, poi, della “lirica perfetta” è
trionfalmente agito dalla spinta propulsiva dell'endecasillabo (come
chiariremo), connubio di pensiero e ritmo che entra però in crisi
alla metà del testo, nell'immagine concreta e perturbante dello
'sbriciolamento' quasi in torme di microscopici insetti o larve
effimere. Che, in fondo, è semplicemente un'altra rappresentazione,
introvertita, della maternità, come dispersione dell'io in “miriadi
di esseri”/feti imperfetti e morituri" (dal mio commento a Santi e Poeti, l'inedito del 2 dicembre 1948)
sabato 28 marzo 2015
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