Di quale violenza si parla
Zeno Rocca, il ventenne fino a ieri detenuto con altri ‘No-Tav’ nel carcere padovano e ora agli arresti domiciliari, è stato mio studente durante il triennio del liceo classico. Non ho mai visto in lui quella carica congenita di violenza descritta, con grande sicurezza, dalla giornalista Alessandra Vaccari sulle pagine de “L’Arena” in data 27 e 28 gennaio. Perché ci vuole davvero una grande sicurezza per permettersi di dire che il “filo rosso” che lega i vari episodi della carriera di questo giovane “rischia di trasformare pericolosa ideologia in sangue”! Pericolosa ideologia? Non è chiaro, visto che Zeno non ha mai emesso proclami ideologici, a cosa si riferisca esattamente la giornalista, ma credo che con questa frase lei tradisca semplicemente la propria ideologia, i propri a priori ideologici. Chissà se Zeno si definisce di sinistra, o comunista, o anarchico, o autonomo, o ribelle, o semplicemente non si definisce. Anche fosse, certo, avrebbe forse dovuto riflettere di più sulle modalità della sua protesta, sulla differenza ad esempio tra possibili pratiche nonviolente di disobbedienza e resistenza civile anche decisa e il tirare sassi contro la polizia. Ma in cosa consisterebbe e da dove verrebbe il “crescendo di violenza” di cui parla la Vaccari, forse nelle “performance” o “scontri” al liceo Maffei contro giovani di estrema destra? Se a quelli ci si riferisce per trovare un punto d’inizio, anzi il momento del rivelarsi della pretesa natura criminale di Zeno, posso dire che per quanto ne so si è trattato di un episodio isolato, una rissa seguita ad uno scambio di insulti durante una distribuzione di volantini da parte di alcuni militanti non so se di Blocco Studentesco o altre organizzazioni di destra. Altri episodi simili saranno forse avvenuti altrove: cose evitabili e deprecabili, e su questo né io né altri abbiamo mai avuto dubbi. Ma non mi risulta che questo ragazzo fosse universalmente noto per le sue pratiche violente: al Liceo “Maffei”, tra compagni e insegnanti, come viene testimoniato da molti in questi giorni, era noto al contrario per la sua bontà di carattere e franchezza, e l’unico ‘estremismo’ visibile in lui era quello degli ideali, di un ideale di giustizia non soddisfatto. Ci sono i sassi o il sasso che, sempre che questo venga dimostrato in via definitiva, Zeno avrebbe purtroppo tirato – in un contesto che dagli articoli citati sembra sparire, un contesto fatto anche dei molti lacrimogeni sparati dalla polizia pure ad altezza d’uomo, uno dei quali colpisce Zeno al petto, o di cariche e di manganellate. Ma quali atti di vera, premeditata, grave ed effettiva violenza avrebbe commesso? Lo si è visto ad esempio scagliare molotov? Picchiare selvaggiamente qualcuno, magari in gruppo, o malmenare dei poveracci indifesi, colpendoli a calci una volta caduti a terra? Immagini che nella memoria recente o meno recente dei veronesi sono riferibili a ben altri fatti e personaggi. Ci sono testimoni per fatti di questo tenore riconducibili a Zeno, o ferite da lui con certezza causate? A quel che ho capito, no. Per questo penso che il ribellismo di Zeno, le cui ragioni nell’avversare il progetto dell’alta velocità in Val di Susa, inviso alle popolazioni locali, io condivido pienamente, ma le cui modalità potrei forse non condividere con altrettanta sicurezza, sia stato oggetto di una reazione giudiziaria dettata da ragioni politiche e del tutto sproporzionata ai fatti, e cioè ingiusta, che lo ha inutilmente confinato fino ad ieri in un effettivo isolamento carcerario, per i primi giorni addirittura senza un libro da leggere né poter ricevere lettere. Trattamento da terroristi o capimafia, come altri ha rilevato.
Credo utile però un termine di confronto. Il 15 dicembre 2011 in via IV Novembre un gruppo di bulletti e giovani razzisti ubriachi (nelle case di alcuni di loro saranno trovati simboli fascisti e nazisti e un manganello telescopico) capeggiati da un diciottenne aggredisce, terrorizza, picchia e minaccia di gettare sotto un’auto un tredicenne singalese. Proprio la giornalista Vaccari esce col ‘pezzo’ domenica 18 dicembre, cioè con due giorni di ritardo ma dà il fatto come accaduto venerdì 16 invece che giovedì 15 (un errore non si sa quanto casuale, ma certo non molto professionale), e negli articoli successivi fornisce stranamente molte indicazioni sulla vittima (dove abita, che scuola frequenta, il lavoro della madre) ma non fa trapelare nulla sul maggiorenne capobranco, e l’evidente appartenenza ideologica di alcuni e l’ancor più evidente razzismo, espressi in una carica di violenza che immaginiamo precocemente assorbita attraverso luoghi comuni e diseducazione familiare, viene passata quasi sotto silenzio. Inoltre, riferendo in forma indiretta le parole della madre dell’aggredito (mentre la nonna “piagnucola”, privata dalla scrivente della dignità di un vero pianto) la Vaccari riesce a inscrivere il ragazzino nella categoria del “diverso” per “quella sua pelle troppo colorata che perfino nel suo Paese non è apprezzata”. Come a dire: ma è chiaro, se non è apprezzata là, perché stupirci se viene guardata così male qua da noi? Né le cose vanno molto meglio quanto a contenuti con l’articolo di Fabiana Marcolini del 22 dicembre sempre su “L’Arena”o con quello di Laura Tedesco sul “Corriere del Veneto” del 21 dicembre, vere tribune d’onore per i genitori dei giovani picchiatori e il loro avvocato difensore: i figli non sono razzisti, né legati ad ambienti di destra, il pestaggio è diventato una “lite per futili motivi” e “Non avrei mai pensato che una cosa del genere potesse succedere”; con tanto di bandiere e manganelli telescopici in camera.... Per Zeno, non si è dato certo altrettanto spazio a dichiarazioni dei suoi genitori o dei suoi ex insegnanti e compagni, nei giorni in cui uscivano su di lui quelle istruttorie e sentenze in forma di articoli carichi di ideologia e preconcetti e deformazioni, e insomma di violenza mediatica. Chiediamo alla giornalista Vaccari: due pesi e due misure? Insisto, chi è gravato dall’ideologia? E la responsabilità di questo modo professionalmente indecoroso di fare giornalismo non è, ovviamente, solo di Alessandra Vaccari, ma anche del direttore del giornale, che ha deciso spazio e impostazione degli articoli: quattro pagine in due giorni! che neanche per Stevanin... Forse parlo a vuoto, rivolgendomi al “giornale di Verona”, cioè di una città che ha dedicato una via (un lungadige, quello dell’università e dell’ex questura!) al picchiatore fascista Nicola Pasetto, tuttora ricordato da molti come grande politico locale, uno che la violenza la praticava davvero. O forse no, visto il ben diverso tenore dell’articolo su Zeno uscito su “L’Arena” di oggi venerdì 10 febbraio a firma di Giampaolo Chavan.
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