Mentre l’alba non è che un annuncio
delle 5.45 in treno verso Mestre
confuso con l’alone arancio dei lampioni
e lo sguardo deve oltrepassare i riflessi
profondi nel vetro del finestrino così
che lo sguardo al di fuori è anche uno
sguardo al di dentro
e so là fuori i mondi misteriosi che non
si potranno mai penetrare (né
si vorrebbe) e le loro vite
sopite - non voglio vedere queste
nel neon dello scompartimento sui sedili vuote
come sembrano ma con scatti improvvisi di lucidità -
se la notte che lascia le cose
che in essa hanno vissuto l’altra luce
e il lungo silenzio
dei molti soli oscuri
sia il vero annuncio
di ciò che ci aspetta, non so
e alla fine sopra la bassa stazione di Padova
non è l’alba che si dilata
ma è il celeste di cenere senza fine,
confortante, freddo, non ancora corso dal sole.
Prima vedevo
dall’altra parte tutti i colori dell’oriente
le antenne lucenti della notte vivere felici
nel rosa incipiente nell’azzurro già squillante
sotto la barca sottile della luna
le navi delle case
e le campagne di dormiente rugiada
nascoste palpebre
vuote corti
intrichi e cortine di alberi attorno a luci
e prospettive percorse da una consueta attesa di sole
venerdì 16 aprile 2010
Iscriviti a:
Post (Atom)